Il tumore della prostata
Il tumore della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: le stime, relative al 2017, parlano di 34.800 nuovi casi l’anno in Italia, ma grazie alla prevenzione si può intervenire in tempo e le possibilità di guarigione aumentano. Infatti, la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma alla prostata, che colpisce soprattutto gli uomini over 50, è attualmente dell’88% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita.
Uno dei principali fattori di rischio, infatti, è costituito proprio dall’età, accanto alla familiarità e alla presenza di mutazioni nella linea germinale (geni BRCA1, BRCA2, HPC1). Inoltre anche l’adozione di uno stile di vita scorretto può favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata. La prevenzione primaria (corretti stili di vita) e secondaria (diagnosi precoce), quindi, giocano un ruolo fondamentale sulla riduzione dell’incidenza di una neoplasia, che in fase iniziale si presenta in modo asintomatico.
La prevenzione si attua principalmente con il dosaggio ematico del PSA (antigene prostatico specifico) e la visita urologica, da effettuarsi almeno una volta l’anno a partire dai 50 anni.
Per quanto riguarda la terapia, oggi sono disponibili molti tipi di trattamento, ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un’attenta analisi delle caratteristiche del paziente (età, aspettativa di vita eccetera) e della malattia (basso, intermedio o alto rischio) permetterà allo specialista urologo di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze di chi si deve sottoporre alle cure.
In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con altre malattie gravi, si può scegliere di non attuare alcun tipo di terapia e “aspettare”: è quello che gli anglosassoni chiamano watchful waiting, una “vigile attesa” che non prevede trattamenti sino alla comparsa di sintomi. In pazienti che presentino caratteristiche della malattia a basso rischio esistono opzioni terapeutiche che consentono di posticipare il trattamento nel momento in cui la malattia diventi “clinicamente significativa”, effettuando inizialmente solo controlli abbastanza frequenti (PSA, esame rettale, biopsia) che permettono di controllare l’evoluzione della malattia e verificare eventuali cambiamenti che meritano un intervento (“sorveglianza attiva”).
Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale. La prostatectomia radicale – la rimozione dell’intera ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore – viene considerata un intervento curativo, se la malattia risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l’intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (prostatectomia radicale retro pubica aperta) o per via laparoscopica/robotica.
Nella malattia confinata l’alternetiva è rappresentata dalla radioterapia a fasci esterni, con risultati simili a quelli della prostatectomia radicale.
Un’altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati apprezzabili è la brachiterapia, che consiste nell’inserire nella prostata piccoli “semi” che rilasciano radiazioni.
Quando il tumore della prostata invece si trova in stadio metastatico, il trattamento di scelta è la terapia ormonale. Questa ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone – ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata – ma porta con sé effetti collaterali come calo o annullamento del desiderio sessuale, impotenza, vampate, aumento di peso, osteoporosi, perdita di massa muscolare e stanchezza.
In caso di “resistenza alla castrazione” si passerà alla chemioterapia.
Fra le terapie locali ancora in via di valutazione vi sono la crioterapia (eliminazione delle cellule tumorali con il freddo) e HIFU (ultrasuoni focalizzati sul tumore). Sono inoltre in fase di sperimentazione, in alcuni casi già molto avanzata, anche i vaccini che stimolano il sistema immunitario a reagire contro il tumore e a distruggerlo, e inoltre i farmaci anti-angiogenici che bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni impedendo al cancro di ricevere il nutrimento necessario a evolvere e svilupparsi ulteriormente. Queste ultime forme di terapia potrebbero essere di aiuto se ne confermerà l’efficacia nei prossimi anni.